Guardando l’orizzonte laggiù che si perde nell’azzurro e sentendo il profumo dei pini, il cervello ti fa pensare che ci sia il mare, da qualche parte, in un angolo remoto della tua testa. In realtà da qui si domina Pinerolo dopo una scalata di cinquecento metri in pavé a lisca di pesce che probabilmente risale al medioevo. Pietre lisce e allo stesso tempo affilate come gradini che ricordano esattamente quelle che formano la sacra ascesa al Geraardsbergen. Dentro, nella piccola cappella, c’è una sfilza di santi, proprio nel momento in cui vuoi pregare affinché l’esistenza possa veramente essere vissuta come un miracolo.
Fuori la corteccia al sole dei pini ancora evoca i pomeriggi in cui si saliva dalla spiaggia. Posti nella nostra testa in cui torniamo quando vogliamo la pace. Sono in un cassetto chiuso a chiave, accanto ad altri luoghi, ai quali invece ritorniamo spesso, quando vogliamo essere sicuri delle cose che hanno il potere di durare per sempre.


Il paese è immerso nel silenzio irreale del primo pomeriggio: i portici ombrosi con la telecronaca lontana che gracchia da qualche telefono chissà dove, come se fosse una partita di calcio trasmessa da un bar nell’estate dell’ottatantadue. Sull’ultimo passaggio a San Maurizio, Jakob Omrzel sta ribaltando il tavolo del gioco ed è maglia rosa virtuale. Diciotto anni e ha già conosciuto la sensazione di stare in bilico verso la morte, un anno fa, con un arresto cardiaco dopo la caduta al Giro della Lunigiana. Lui non lo sa, non ci sono le radioline, pensa solo a fare la volata, a dare fino al suo ultimo respiro per vincere la tappa. Dopo abbraccia il suo amico e rivale in quella pazza fuga, gli dice che è stato grande, glielo dice con un sorriso. Ma lui non lo sa ancora. Nessuno gli ha detto che ha vinto il Giro d’Italia. Quando lo capisce, dice soltanto un “veramente?” guardando il vuoto con i suoi occhi azzurri sulla faccia da bambino. Adesso è in una bolla, come quando ti danno una bella notizia e tu non riesci a crederci. Stretto nell’abbraccio di tutti, lui forse non riesce a pensare a nient’altro che allo sforzo. Se al dolore siamo impreparati, alla felicità di più.


Sul podio guarda i suoi compagni che si abbracciano, felici come se fossero stati loro a vincere. Si prendono tutta la doccia di vino caldo sotto il sole a picco, lui tiene il trofeo mentre per un secondo – solo un secondo – si porta la mano al cuore. Ancora il battito è lì. Sempre copiando l’esistenza, il ciclismo dà e toglie e poi restituisce ancora.
Me lo sta dicendo all’orecchio, ribaltando di nuovo tutto.
È sempre stato un regalo e te l’ho tolto per un motivo.
Restituirò ogni cosa.
Il mare è azzurro sulla riviera Ligure quando il pomeriggio mette i luccichii sull’acqua.
Quando chiudiamo gli occhi, i nostri sogni hanno ancora – sempre – lo stesso colore.
Joan Mirò ha dipinto “Photo: ceci est la couleur de mes rêves" nel 1925. Questo olio su tela presenta due iscrizioni su sfondo nudo sormontata da una macchia blu. Per alcuni questo è il dipinto-poema più misterioso di tutti, per altri il colore blu potrebbe aver incarnato un luogo in cui la mente e i sogni dell’artista scorrevano senza confini.
🩷 sogno rosa.